È la luce riflessa dal nevaio sulla cima della Sierra Nevada a fare da stella nocchiera al viaggiatore che, da Granada, inizia l’avventura verso una delle mete più antiche e sorprendenti dell’Andalusia: l’Alpujarra.
Si narra che questo nome insolito derivi dall’arabo e che questa sia stata la terra dell’erba, o forse sia ancora oggi la terra indomabile di cui ha mirabilmente scritto Ildefonso Falcones nel romanzo La mano di Fatima.
Le pareti di roccia che costeggiano il cammino verso la montagna nascondono da lontano sembrano punteggiate di piccole stelle bianche.
Sono i borghi e i paesi che non hanno mai perso le loro origini berbere e che, per centinaia di anni, hanno formato una catena quasi segreta di solidarietà ed autosufficienza che ancora oggi le collega, nonostante la distanza e le strade tortuose.
Qui crescono spontanei il timo e il finocchio selvatico che profumano la valle ancor prima delle zuppe tradizionali; qui si dice che non piova mai: non è vero, ma il clima è prezioso e la natura sorprende per la sua molteplice diversità, per i suoi fiori, i suoi frutteti, i suoi olivi secolari che sembrano sculture intagliate da una mano prodigiosa.
Qui, il tempo è ancora lento, le tradizioni resistono, i mercati offrono oggetti non del tutto massificati, l’olio, il miele e i formaggi hanno sapori vivi ed ogni ristorante offre la sua ricetta speciale per una paella dove campeggia anche il pesce che viene dalla vicina Costa Tropical.
Qui, nonostante tutto, il viaggiatore nomade può condividere con il turista un’avventura anche dello spirito, magari percorrendo la zona incontaminata di Jaramuza, ai piedi della capitale Órgiva, quasi una terra promessa dove si incontrano, fra le altre, una comunità hippy (per i meno giovani ascoltare il suono dei bongo risuonare nella valle è un’esperienza indimenticabile), una comunità sufi che convivono fraternamente fra alberi d’arancio, limoni ed avocado e, più in alto, a 1600 mt sulla montagna, un monastero buddhista che il Dalai Lama ha battezzato Luogo di luce chiara.